IL DESERTO

compito escrittore

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È venerdì ed ancora non ho trovato un argomento per la cronaca di questa settimana.

Perché? Credo che dipenda dal fatto che non sto in piena forma. Non posso dire che sto male, ma nemmeno che sto bene. Starnuti starnuti a non finire da giorni e mi sento intontita per gli “anti-qualcosa” che sto ingurgitando. Il problema è che mi sento un peso sulla coscienza: cosa scriverò questa settimana? Ma poi mi domando: chi me l’ha dato questo compito? Se ci rifletto su devo riconoscere che è una grande manifestazione di presunzione da parte mia: pensare che chi mi legge abbia il diritto di esigere che io compia il mio dovere, che sarebbe quello di fare una piccola riflessione settimanale. Ma vi rendete conto? è bastato qualche piccolo elogio, qualche parola di incoraggiamento ed io mi son sentita investita di questo compito che nessuno mi ha dato e che, in una settimana come questa, scopro che è più grande di me.

Credo che questo rigore verso me stessa sia nato nella mia primissima infanzia, quando non so per quale combinazione familiare, complice la guerra, io sono rimasta affidata alla mia nonna paterna che, in fatto di educazione, seguiva metodi vittoriani. Se mi dava un compito non potevo muovermi per nessuna ragione prima di averlo eseguito e, quando piena di speranze le presentavo il risultato dei miei sforzi, se lei non aveva nessuna critica da fare (cosa molto rara), mi diceva, arcigna e severa, “Hai fatto la metà del tuo dovere” ed io rimanevo angosciata pensando dove mai avrei trovato l’altra metà per meritare finalmente un elogio. E mi viene ora in mente un altro episodio. Dopo questo addestramento militare da parte di mia nonna, quando tornai a casa con i miei genitori, un pomeriggio che mio padre mi sgridò per non ricordo quale mia colpa, io mi rifugiai in una finestrella in forma di oblò che c’era in casa, dove entravo come ad incastro. I miei genitori uscirono e tornarono dopo circa quattro ore. Dopo qualche ora, mio fratello si accorse che non ero in giro e preoccupato si mise a cercarmi; finalmente mi trovò, e mi disse di venir fuori, che non aveva senso che stessi rincantucciata là dentro, ma io risposi che non sarei scesa finché mio padre non mi avesse perdonato…

Capirete bene che con questo tipo di addestramento mi si è sviluppata una buona capacità di autocritica, ed anche per questo sono così inflessibile verso me stessa, e non riesco a non rispettare quelli che ritengo siano miei compiti o doveri. E questa cronaca settimanale lo è diventata non so in base a quale decreto o attribuzione.

La verità è che quando ho qualcosa da dire, la dico con piacere, cioè quando le idee mi ribollono nella testa scrivere per me è quasi una necessità, ma quando le idee non ci sono come me la cavo? Credo che sia un “incidente di percorso” che capita a qualunque scrittore, ed anche se io non mi inquadro nella categoria, mi rendo conto di essere soggetta alle stesse crisi…

Insomma miei cari lettori, considerate che quella di questa settimana non è una cronaca, ma una richiesta di comprensione: non sono stata capace di lasciarvi senza cronaca, piuttosto vi sottopongo a questa confessione, con la promessa/speranza di far di meglio in avvenire.

One Comment

  1. Flavio

    Querida hermana, aun con tu malestar logras escribir tan buena crónica, me encanta leer tus cuentos de familia y de tu infancia, conocer más de ti, nuestros hermanos, papá, tu mamma y la nonna… además, como profesora de italiano eres excelente, la manera como manejas los tiempos de conjugación es poéticamente espectacular y muy nutritivo para tus lectores… Mucha gracias

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