LA LEGGEREZZA DELLA BALENA

balena mare oceano

Also available in: Português

Quando ero bambina, adolescente, ragazza, sentivo il mare come il mio elemento: ci stavo bene, a mio agio, mi tuffavo, nuotavo in profondità o in superficie con la stessa spensierata felicità, avevo la sensazione di essere agile, veloce, leggera. Era così naturale per me che non avevo nemmeno la percezione di dover venire a galla per respirare: entravo e uscivo dal fondo del mare con un movimento spontaneo che non richiedeva nessuno sforzo, nessun calcolo. Noi abbiamo abitato per molto tempo in riva al mare, ma proprio in riva al mare nel vero senso del termine: la nostra casa sorgeva sulla spiaggia di Lacco Ameno, in una dolce insenatura sull’isola d’Ischia.

Mia madre diceva che tutti noi fratellini avevamo imparato prima a nuotare e poi a camminare, proprio come se fossimo dei pesciolini. Sarà perché mia mamma aveva avuto quattro figli uno dietro l’altro che ci ha cresciuti senza drammi, senza paure inutili. Già c’era la guerra che di paure ce ne metteva tante, certamente lei non ci avrebbe aggiunto anche quella degli elementi, quindi ci ha insegnato da sempre che la natura era nostra amica ed il mare lo era ancora di più, purché imparassimo a rispettarlo.

Io non so come abbia fatto ad insegnarci questa naturalezza con il mare, che non è mai stata incoscienza, dato che lo rispettavamo, e come! Sapevamo capire molto bene quando era meglio non sfidarlo perché era arrabbiato. Allora ce ne stavamo buoni e non gli arrivavamo nemmeno vicino. Solo quando ritornava tranquillo riprendevamo la nostra simbiosi con questo nostro elemento fluido.

Poi sono cresciuta. Questo non significa che il mare mi fosse diventato nemico, ma mi rendevo conto che lui, il mare, non si comportava nella stessa maniera con tutte le persone. Ad esempio mio marito. Anche lui amava molto il mare, ma io non posso dire che il mare lo amasse allo stesso modo. Poteva succedere che ci tuffassimo insieme nello stesso posto, ma lui, non io, tornasse su tutto pieno di spine di ricci. Il mare le fa queste cose, ti dimostra chiaramente se gli sei simpatico o no. Questo non succedeva con me e nemmeno con i miei fratelli.

Bisogna anche aggiungere che siamo venuti in Brasile, dove abbiamo conosciuto un altro mare. L’oceano Atlantico non è mare, è oceano. È tutta un’altra cosa… Difficile, veramente difficile che un oceano, Atlantico, o Pacifico, o Indiano, si dimostri amico, veramente amico di un comune mortale… a meno che non gli si presenti con una tavola da surf in mano e con un nome come Gabriel Medina… Solo così l’oceano accetta di essere sconfitto in una sfida!

Quello che io ho capito subito di fronte all’Atlantico è che lui non sa, non può esserti amico: è troppo grande, è troppo violento, le sue onde sono troppo impetuose per saper trattare con delicatezza una persona vulnerabile come un essere nato per essere umano e non pesce. Mio marito, per esempio, una volta si è quasi affogato solo per averlo sfidato. Quando poi l’oceano si addentra in una laguna diventa addirittura subdolo, perché contiene la sua furia in correnti sottomarine che ti portano dove vogliono, ed inoltre diventa così salato che fai fatica a starci dentro come se fosse un mare innocente. Diciamo la verità, innocente l’oceano non lo è mai, nemmeno quando si traveste da laguna, questo un europeo lo impara a proprie spese…

È successo così che me ne sono allontanata, e nel frattempo sono invecchiata, sono diventata pesante, ingombrante, impacciata; non ricordavo nemmeno più la sensazione di leggerezza che provavo nel mio mare di Ischia.

Questo fino a domenica scorsa, quando ho avuto la fortuna di poter entrare in un pezzetto di oceano in veste di mare che mi ha accolto con l’affetto e la benevolenza del mio mare di Ischia, ed è successo qui, non lontano da Rio, nella Baia di Mangaratiba, dove l’oceano Atlantico per un giorno, un giorno soltanto, ha dimenticato di essere oceano tumultuoso, e violento, e gelato, e mi ha accolto con una temperatura amena, dolce, carezzevole, senza aggredirmi con le sue onde gelate, ma carezzandomi con un dondolio soave, e così, dopo tanto tempo, ho ritrovato la mia antica leggerezza, mi sono sentita di nuovo nel mio elemento, agile e fluida, ed ho capito perché sembrano così felici le balene quando si esibiscono allegre nelle loro acrobazie pachidermiche…

One Comment

  1. websi.co

    IN RISPOSTA ALLA BALENA FELICE
    SANDRA MAGALDI 11/10/2020

    Myriam, ho appena letto la tua cronaca della settimana, come sempre deliziosa. Ma questa mi ha colpito profondamente nei miei ricordi. Cosa posso dirti, mia cara amica, io che sono cresciuta al “Posto 6”, ed anch’io come te ho nuotato solo per me, senza preoccuparmi dello stile, ma solo per la mia felicità? Come spiegare la sensazione di bucare un’onda grassa, generosa finno a farsi attraversare senza esigere il pedaggio? O la felicità di lasciarsene trasportare, e lei ci prendeva in braccio e ci cullava morbida, depositandoci poi di nuovo sulla riva, là dove potevamo toccare? E poi fare il ‘jacaré’, il coccodrillo, usando solo il nostro petto come tavola da surf? ‘Arriva quella buona’ avvisava qualcuno e tutti ci mettevamo in posizione, corpo arcuato e braccia tese in avanti, mani ad angolo acuto, ed arrivava lei, l’onda buona, e ci trasportava fino a riva , come esseri nati per vivere tra la spuma del mare. Ci rialzavamo e tornavamo oltre la linea dove l’onda si rompe, avanzando e bucando altre onde per andare al largo ad aspettare di nuovo “quella buona”. Eravamo innocenti ed ignari di differenze, allora. Per noi era mare. Nessuno ci pensava che quello era oceano. Bagno di mare, Cpacabana, spiaggia di mare aperto, e l’onda quando si rompe sulla sabbia è bella, è bella (cantava alla radio Caymmi). Era il mare. Lo è ancora, nonostante la mia assenza. Là sul fondo si solleva la luna piena in una certa epoca dell’anno. All’inizio sembra che una nave stia prendendo fuoco all’orizzonte. Ma invece è lei, che piano si solleva tonda, dorata e piena nella notte di Copacabana. Allora il mare tace e spiana le sue onde, spandendo quel brillio dorato e portandolo fino a terra.
    Anch’io da bambina ho imparato quel rispetto di cui parli tu. Qui si impara presto che questo mare oceano va osservato bene prima di entrarci. Lui dà sempre segnali del suo umore, per questo non tradisce chi lo conosce nell’intimo. Si impara a riconoscere da lontano ‘una bocca’ (un vortice), un’onda cattiva (quella che si rompe con forza ad angolo di 90 gradi), la possibilità di essere travolti, arrotolati, il mare cattivo, di onde disordinate, portate da correnti che non s’intendono fra di loro.
    Ha le sue ragioni il mare. Ha i suoi momenti. Io so di lui così come lui sa di me. Il mare di Copacabana, Posto 6. Fin oggi lo sento mio come tu senti tuo quello di Ischia.
    Abbiamo in comune anche questo, cara Myriam.
    Un bacio, Sandra

Comments are closed.