ORA VI RACCONTO IL RESTO

Enseada de Botafogo e Pao de Acucar

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Bene, siamo rimasti al Morro, con tutto ancora da risolvere: documentazione da consegnare entro una settimana alla Polizia, per recuperare i passaporti sequestrati, e casa insufficiente per i nostri mobili.

La cosa più urgente erano i documenti da presentare, e se ne occupò mio marito con la direzione della FNM, ma una volta in possesso di tutta la documentazione, ero io che dovevo andare a consegnarli all’ufficio centrale della Polizia. Si trovava all’Avenida Rodrigues Alves, che all’epoca ancora non era stata sommersa dal viadotto che cominciò ad essere costruito subito dopo, e che sarebbe stato abbattuto poco più di trent’anni dopo…

Mio marito, che non poteva lasciare il suo lavoro per la mezza giornata indispensabile, diede per scontato che me la sarei vista da sola. Così mi studiai bene la pianta della città e dei dintorni di Rio de Janeiro per potermi orientare (ancora non esistevano GPS né Waze), e mi avventurai con la macchina che aveva in dotazione mio marito, un JK, una specie di carrarmato che era allora l’unica macchina completamente brasiliana nata su iniziativa di Juscelino Kubishek, il Presidente che volle anche Brasilia, ed a lui intitolata.

Affrontai l’Avenida Washington Luiz, poi l’Avenida Brasil, non so come arrivai alla Piazza Mauá, e di là alla Rodrigues Alves. Il palazzo era lì, bello, imponente, con davanti una rientranza che non poteva servire ad altro che a parcheggiarvi delle macchine, ed io parcheggiai. Erano circa le 9 del mattino. Mi diressi al piano che mi indicarono ed arrivai… in un deserto. Non c’era nessuno, tutti gli uffici chiusi, ed io nel dubbio, non sapendo cosa fare, non mi mossi di lì.

Dopo una mezz’ora arrivò qualcuno che sembrava essere una dattilografa o qualcosa di simile. Mi guardò incuriosita, le dissi che dovevo parlare con il Signor Tal dei Tali, ed immediatamente mi fece entrare e sedere in un’ampia sala d’attesa, anch’essa deserta. Poco dopo si ripresentò con una divisa da inserviente e mi offrì un fumante caffè e dell’acqua. Lo trovai di una cortesia infinita (in Italia col cavolo che ti offrono una sedia, un caffè ed un bicchier d’acqua!!!). Le domandai, con le poche parole di portoghese che avevo imparato in quella settimana e che mescolavo con lo spagnolo e l’italiano, se sapeva dirmi a che ora sarebbe arrivato quel tale signore, e lei rispose “Daqui a um momentinho deve estar chegando” (Deve arrivare fra un momentino). Il momentinho durò altre tre ore perché quel signore arrivò all’una e mezza… mi guardò come mi guardavano tutti gli altri: come se fossi un oggetto strano capitato lì solo Dio sa come. Fece molta fatica a capire di che si trattava, qual era il problema, come intendevo risolverlo.

Quando capì che la patata era bollente, cercò di depistarmi dicendomi che dovevo andare non so dove per parlare con non so chi, ma io gli dissi che ero in Brasile da pochi giorni, che non sapevo cavarmela e quindi avrei parlato con il direttore della FNM, che certamente avrebbe risolto il mio caso. Allora forse temette cose peggiori e scomparve per un’altra mezz’ora che deve aver impiegato a telefonare di qua e di là per assicurarsi che accettando quei documenti non si stesse mettendo nei guai… Alla fine, erano ormai le tre del pomeriggio, accettò i documenti e mi disse di tornare dopo una settimana per ritirare i passaporti che mi avevano sequestrati all’arrivo.

Alfa Romeo FNM JK

Quando arrivai giù, morta di fame ed ancora sotto effetto di fuso orario, trovai piantato accanto alla mia macchina un poliziotto che appena mi vide, con voce stizzosa ed espressione minacciosa, mi chiese i documenti miei e della macchina e al colmo della rabbia cominciò ad inveire dicendo (io capivo vagamente quello che diceva, ma capivo benissimo che era su tutte le furie) che avevo infranto non so quante norme del codice civile e di quello penale e che lui al colmo dell’esasperazione, dopo 5 ore di attesa accanto alla vettura peccaminosa, aveva ormai chiamato il suo capo perché eseguisse il sequestro del veicolo. Io balbettavo in italiano e in spagnolo chiedendo scusa, dicendo che non avrei mai immaginato di commettere tanti reati (mi sentivo ormai una specialista nel commettere involontariamente dei reati), che mi dicesse cosa dovevo fare per riparare. All’improvviso questo poliziotto smise di inveire e, da arrabbiato che era, lo vidi assumere un’aria preoccupata. Mi restituì i documenti e mi disse burbero: “Entri in macchina, presto, entri in macchina”. Entrò anche lui dall’altro lato e continuò: “Presto, presto, andiamo via, perché se arriva il carro attrezzi non posso più fare niente per aiutarla, andiamo via di qua”. Così ci mettemmo a girare in macchina per il centro di Rio che io non conoscevo, lui mi indicava, gira di qua, gira di là. Mentre giravamo mi diceva che per aiutarmi poteva incorrere in severe sanzioni, ma che ormai aveva capito che ero una povera sprovveduta in buona fede e quindi aveva deciso di aiutarmi perché il guaio in cui mi ero messa era davvero grande, e fra una frase e l’altra mi raccontava della sua vita. Mentre lui parlava io nella mia mente mi rivolgevo alla Madonnina mia protettrice, pensando ma che scherzi sono questi, mi hai aiutato a risolvere il problema del visto e poi mi fai cadere in una trappola che sembra ancora peggio!!! E quel poveretto mi disse che da una settimana era papà di un bel maschietto, insomma in quella mezz’ora che girammo per le stradine intorno alla Piazza Mauá diventammo amici e complici; così gli promisi che quando fossi tornata una settimana dopo per prendere i passaporti, gli avrei portato dei regalini per il suo bimbo.

Arrivai a casa pochi minuti prima che mio marito tornasse dalla fabbrica, e meno male, perché se lui fosse tornato e non mi avesse trovato, avrei dovuto affrontare un altro tsunami inquisitorio. Gli spiegai tutto quello che era successo e gli dissi che se non avesse provveduto a mandarmi lì di nuovo con un autista ed una macchina della fabbrica, io mi sarei rifiutata di continuare a risolvere problemi creandone altri…

Infatti tornai dopo una settimana con un autista della fabbrica. Andai lì a mezzogiorno e trovai il mio amico poliziotto, al quale consegnai un bel pacco pieno di giocattoli e vestitini per neonati e diventammo addirittura amici d’infanzia… Poi al sesto piano, il Signor Tal dei Tali in persona, con aria solenne, mi consegnò i passaporti con il visto giusto e me ne tornai in pace al nostro morro.

Per la casa, c’era poco da fare: in quella casetta minuscola i nostri mobili non ci sarebbero mai entrati. Si sapeva però che uno dei direttori da lì a quattro mesi sarebbe stato trasferito a São Paulo, lasciando libera una delle case più grandi. Così i nostri mobili, partiti dall’Italia alcuni mesi prima, rimasero nei container in un capannone del porto di Rio per altri quattro mesi. Li ritirammo soltanto dopo aver ricevuto una casa abbastanza grande da farci entrare tutto quello che, come tartarughe, ci eravamo portati dall’Italia.

Allora non lo sapevo, ma avevo un talento speciale a ficcarmi nei guai perché non mi intimidivano le difficoltà: e se c’era qualcosa da risolvere, non mi chiedevo nemmeno se sarei stata o no all’altezza del compito. Semplicemente partivo e in un modo o nell’altro lo risolvevo.

Erano già alcuni mesi che ero in Brasile e questa volta la cosa da risolvere era alla Rua Buenos Aires, di dove ero già passata altre volte. Ricordavo di aver visto che c’era un edificio garage e senza esitazione mi ci diressi per lasciarvi il solito JK. Arrivai, scesi dalla macchina ed immediatamente un addetto la guidò sull’ascensore che se la portò chissà dove. Rimasi in piedi ad aspettare la ricevuta e, quando l’addetto vide che non andavo via, mi domandò se avessi bisogno di qualcosa. Gli dissi che volevo la ricevuta per poter ritirare la macchina, allora lui mi chiese: “Mas a senhora não tem vaga cativa?” (ma lei non è proprietaria di un posto macchina?) ed io “Vaga cattiva? Ma io non ce l’ho nemmeno buona, come faccio ad averla cattiva!” L’uomo rimase perplesso, esterrefatto: la macchina ormai era su, lui stesso non sapeva come comportarsi. Alla fine brontolando mi disse di andar via, ma di non tornare dopo che lui smontasse dal suo turno altrimenti non sapeva come avrei potuto recuperare la mia macchina…

Io non credo proprio che oggi riuscirei a cavarmela come me la cavavo allora, quando ero giovane, carina e sprovveduta, ma ripensandoci ora, sono sicura di aver messo alla prova la pazienza e la benevolenza di molte persone con la mia capacità di ficcarmi nei guai…

Devo riconoscere che aveva ragione mio marito quando affermava che ero un’incosciente… si, ero proprio temeraria e spericolata! (ma a lui, come gli faceva comodo che io lo fossi!!!).