CINQUANT’ANNI FA

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Era esattamente il 3 ottobre del 1971 quando, all’alba di un caldo mattino di sole, proprio come questo di oggi, sbarcai nell’antico aeroporto do Galeão con i miei tre figli e mia madre. Franco era già qui da tre mesi e naturalmente venne a riceverci all’arrivo. Ma le ore passavano ed io non venivo fuori dalla dogana e dal controllo di polizia. Si chiedeva ansioso ed impaziente cosa stesse succedendo e nessuno sapeva o voleva dirgli niente. Io là dentro, stordita dal caldo e dalla stanchezza, con i bambini lamentosi ed impazientì, non capivo cosa mi chiedevano quei funzionari gentili, ma determinati a denunciare un’anomalia dei miei documenti che intuivo abbastanza grave, ma non capivo cosa fosse.

Fecero perfino ritirare tutto il mio bagaglio perché presentassi loro degli esami clinici di cui mi chiesero conto e che ricordavo di aver fatto a Napoli, su richiesta del consolato brasiliano nella mia città. Non capivo la lingua, non sapevo di non avere le carte in regola, ero preoccupata per mia madre ed i bambini che erano in viaggio ormai da più di trenta ore, mi sentivo io stessa stanca ed accaldata ed anche preoccupata di Franco che sapevo fuori e di cui immaginavo l’impazienza e la preoccupazione; solo dopo molto tempo capii che l’errore era partito dal consolato brasiliano di Napoli che ci aveva concesso un visto che non corrispondeva al proposito del nostro arrivo in Brasile. Chiedevo a quei funzionari di parlare o di farmi parlare con mio marito che certamente era lì nell’aeroporto, ma non c’era verso che mi dessero ascolto. Insomma, non so come si risolse la cosa, so solo che uscimmo dalla dogana circa quattro ore dopo che era uscito l’ultimo passeggero del mio volo.

Questo fu il mio primo impatto con il Brasile. Il secondo fu quando arrivammo al “morro”. Era così che veniva definita la piccola collina dove sorgevano le tredici casette della direzione della FNM, Fabbrica Nacional de Motores. Lo stile di quelle casette, che si chiudevano ad anello intorno ad un campo da tennis ed una piscina, era rigorosamente lo stesso, ed era uno stile che ho poi incontrato in molte costruzioni della stessa  epoca.

Tuttavia nella loro misura variabile e nella loro ubicazione, era evidente il concetto di gerarchia. Ce n’era una grande, sontuosa, con un maggior numero di archi e con una veranda molto spaziosa, che era destinata al direttore della Fabbrica. Ai suoi lati, a destra ed a sinistra, sorgevano case meno imponenti, ma anch’esse grandi e man mano che le case si allontanavano da questo centro del potere, diventavano più piccole e perdevano in imponenza.

A Franco era stata assegnata l’ultima della gerarchia, un po’ perché era arrivato dall’Italia senza la famiglia, un po’ perché era proprio l’ultimo ad essere arrivato, ed essendo quelle case molto ambite da tutti i funzionari, doveva aspettare un po’ prima che si liberasse una all’altezza della sua posizione in fabbrica. Chiaro il concetto di  gerarchia. Niente contro, solo che quando entrai nella casetta che ci era stata assegnata venni presa dallo sconforto: come avrei fatto a farci entrare tutti i mobili che ci eravamo portati via dall’Italia e che sarebbero arrivati entro qualche settimana? Oltre ad essere davvero piccola per una famiglia di cinque persone abituata a vivere in una casa di circa 200 metri quadrati, era divisa in modo da rendere ancora più piccolo ogni ambiente ed era già arredata, anche se in modo per niente aderente alle nostre necessità.

All’epoca già sospettavo di essere una persona pragmatica (per Franco ero un po’ incosciente). Ero stanca, avevo bisogno di pensare ai bambini, quindi non volli preoccuparmi di un problema che in ogni caso non avrei potuto risolvere in quel momento. Così decisi di non pensarci. Ci feci su un una bella dormita ed il giorno dopo mi godetti la natura tutt’intorno a quel piccolo paradiso, cercando di capire dov’ero e su cosa potevo contare.

Cominciò così la nostra avventura brasiliana, ed anche se Franco non è più con noi, quel nucleo di cinque si è andato ampliando fino a raggiungere il numero di quindici persone che oggi, vicine o lontane, commemorano con me una data tanto importante per la nostra famiglia.

A conti fatti, non posso che ringraziare questo Paese e tutte le persone che ho conosciuto in questo mezzo secolo e in questa parte del mondo.

Grazie Brasile, grazie amici.

2021-10-03